viviana
Soldi

Sognavo i viaggi, mi sono risvegliata con un fallimento

Ti racconto questo episodio della mia vita perché ogni storia ha qualcosa da insegnare. Per me è stata un’esperienza durissima, con ancora degli strascichi.

Potrei iniziare un lungo discorso sulle convinzioni depotenzianti oppure raccontarti che il fallimento è un passaggio quasi obbligatorio per fare meglio e per raggiungere il successo. Potrei.

Ho letto tanto, tanta roba sulla crescita personale, sull’autonomia finanziaria, sul marketing e ho trovato molti capitoli dove si parla di fallimento e della forza di non arrendersi, citando molti esempi di personaggi noti.

Ma c’è un tipo di fallimento reale, concreto, fatto di sentenze e di creditori dove parecchie delle persone che conoscevo mi hanno fatto sentire ancora più sporca di quello che già percepivo di essere, una pezzente : il fallimento di un’attività imprenditoriale.

Avevo scritto questo articolo qualche mese fa, poi subito cancellato. Un articolo che si riferisce ad un episodio di parecchi anni fa, all’amarezza vissuta e quel senso di ansia che non mi ha più abbandonato.

Purtroppo, ne sono stata la cattiva protagonista e non ne ho mai parlato per vergogna, per paura che le mie parole contaminassero di marcio le cose intorno a me, marcia come mi sentivo io.

Hai fallito o sei un fallito?

Avevo una piccola agenzia di viaggio e il progetto che diventasse più un punto di consulenza che non un mero punto vendita di prodotti da catalogo.

Ricercavo e svelavo piccole chicche del territorio che i clienti avrebbero visitato, perché mi piaceva l’idea che si sentissero protagonisti della loro vacanza, anche nei viaggi più tradizionali.

Ho pensato spesso a quale sia stata la causa reale, cioè che cosa mi ha portato a trovarmi in grave difficoltà economica, che non si traduce semplicemente in una errata gestione finanziaria.

Per una serie di circostanze, avevo smesso di inseguire il mio sogno per rincorrere quello più patinato di una socia che si era aggiunta in corsa, che aveva altre attività e che stava facendo il suo lavoro di pubbliche relazioni.

E’ stato un susseguirsi di eventi, cene promozionali e presenze pubbliche. Insomma, avevo perso la mia strada. Per un misero momento di notorietà ho dimenticato che la cosa più bella era vedere brillare gli occhi dei clienti quando raccontavo un viaggio che sarebbe stata la loro piccola avventura.

Mentre scrivo mi alzo, cammino, apro il frigorifero, mi siedo, scrivo, cancello….

Mi ricordo tutti i tentativi e tutta la disperazione per trovare una soluzione e grazie alla tenacia del mio commercialista, che si è comportato da vero amico, sono riuscita ad arginare la situazione.

Ma non è bastato a risolvere un deficit di trentacinquemila euro che mi ha sprofondato nell’abisso, coinvolgendo altre persone.

Dopo avere depositato i libri in tribunale, la paura più grande era non sapere cosa realmente sarebbe successo. Ricordo chiaramente la continua sensazione di angoscia.

Ma ecco i fatti

Il curatore fallimentare inventariò gli scarsi beni disponibili in ufficio; la mia auto, il telefonino e un pc casalingo furono messi all’asta per tentare un concordato preventivo con i fornitori. Ma un unico fornitore, una banca, non accettò e il tribunale dichiarò fallita la mia attività.
Per tutti gli altri, la fallita ero io.

Tutta la procedura amministrativa, nel mio caso, è durata circa un anno, ma intimamente … beh, dopo tutti questi anni ho ancora qualche strascico emotivo. Mi sento in colpa per le persone coinvolte e ho ancora una fottuta paura quando devo prendere alcune decisioni di lavoro.

Quando si fallisce, intorno comincia a farsi spazio il vuoto. Prima gli sguardi furtivi, poi quelli accusatori e successivamente il silenzio. Mi sono sentita una perdente, privata della mia dignità, sconfitta, un’incapace, una madre inadeguata.

Per strada ho perso qualche amico, che forse amico non è mai stato, un congiunto mi è stato vicino anche economicamente, ma senza mai dimenticarsi di farmelo notare e qualcuno ha anche insinuato che avessi fatto la furba. Già, una furba senza soldi, senza lavoro, senza auto e con un figlio da mantenere.

Dovevo trovare velocemente un lavoro

L’emergenza e il curatore fallimentare richiedevano un salario a tempo pieno, mi sono quindi rivolta ad un’agenzia interinale che mi ha proposto un lavoro  in una fabbrica a 25 km dalla mia abitazione. Il lavoro si svolgeva su due turni, il primo turno iniziava alle 6 del mattino ed il secondo turno finiva alle 22.

Senza auto era un impresa, ma il contratto durava venti giorni, quindi accettai immediatamente. Quando riuscivo a far coincidere gli orari, prendevo i mezzi pubblici, due linee di pullman diversi,  ma alle 5 del mattino era un vero problema. Qualche volta sono stata accompagnata, altre mi hanno prestato l’auto e mi è anche capitato di usare la bicicletta fino alla seconda linea di pullman.

Il contratto, di mese in mese, mi fu rinnovato per sei volte e come mezzo di trasporto iniziai ad usare il motorino di mio figlio da vera imbranata: 25 km in un’ora e sono anche caduta ! Era inverno ed arrivavo tremando per il freddo, con le dita congelate e ci voleva almeno mezz’ora prima di riuscire a muoverle.

Lavoravo nel reparto femminile per il controllo qualità di un’azienda meccanica. Le dinamiche relazionali erano talvolta complicate e per me era la prima esperienza di quel tipo.

Ma ho incontrato donne e storie interessanti  che ci raccontavamo nonostante fossimo continuamente richiamate al silenzio, però il lavoro non era difficile e nemmeno particolarmente faticoso.

In primavera mi fu offerto un contratto di lavoro definitivo, che non accettai. Le colleghe suggerivano di rassegnarmi, che avrei dovuto farmene una ragione perché quella sarebbe stato il mio futuro. Ma avevo altri progetti e la necessità di dimostrare il contrario, avevo bisogno di riprovarci per risollevare la mia autostima.

In effetti mio padre mi chiamava “Bastian contrario”.

Volevo riprovarci, anche se ne ero spaventata

Mi faceva meno paura l’imprevisto che un lavoro sicuro ma alienante.

Comunque, avevo sondato qualche possibilità e mal che andasse, c’erano sempre le agenzie interinali. Ho tolto gli anfibi, ho rispolverato gli abiti più formali e in poco tempo ho iniziato a lavorare nell’ufficio di un tour operator per un paio di anni, finché sono tornata a lavorare come libera professionista. Ma questa è un’altra storia.

Ti ho raccontato un periodo buio della mia vita, mettendomi a nudo. Non è stato facile, in alcuni momenti sento ancora la paura, ma sto imparando una cosa importantissima: le cose capitano, ma sta a noi scegliere in che modo viverle ed io ho scelto di non lasciarmi sopraffare.

Ho fatto scelte difficili e qualche volta anche infelici, ho pagato in amicizie e relazioni. Ma non permetterò più che qualcuno mi faccia sentire inadeguata o stupida, perché non lo sono.

E’ giunto il momento di fare pace. Con chi mi ha offesa, chi non mi ha capita o semplicemente ha avuto paura. Di fare pace con il mondo. Di fare pace con me stessa.

Per la prima volta lo sto dichiarando platealmente, l’ho detto a te e a tutto il mondo ad alta voce. Sono caduta, mi sono leccata le ferite, mi sono rimessa in piedi e vado avanti.

Tutti i passi della mia vita mi hanno portato fino a qui, sto continuando a camminare e mi piace quello che vedo all’orizzonte.

Ho 56 anni, due profonde rughe glabellari e mi sono denudata. E non è un bello spettacolo. 😉

viviana

2 Comments

    • Viviana

      Grazie a te per aver letto ed espresso il tuo sostegno con sensibilità. Non è facile raccontare cose per cui spesso ci sentiamo giudicati, a me è servito per voltare pagina.

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